La mort l'è in soeu ‘l tecc

la scampa né ‘l giuin né ‘l vecc

Ci sono dei segni premonitori della morte: il lamento notturno della civetta sul tetto della casa,

 Quant in soeu ‘l tecc canta la sciguèta

un oltar mort tira la gambèta

 il latrato del cane nella notte, lo strano verso della gallina che imita il gallo "in galesc", il tarlo che scandisce i minuti "l’arloin de la mort", il gesto di attirare a sé le coperte da parte del malato grave. Si sta attenti anche alla persona sulla quale si fissa lo sguardo del morente, alla lacrima dell'occhio sinistro, "l'occhio del cuore", al sovrapporsi del suono della campana che batte le ore con quello della campana che suona da morto.

Quando uno entra in agonia suona la campana di S. Giuseppe e si fa la benedizione eucaristica nelle chiesetta della Madonna del Miracolo. Agli iscritti alla Pia Unione è invocata una buona morte e la liberazione da una troppo prolungata agonia.

Così corrono per il borgo le notizie degli ultimi eventi riguardanti l'agonizzante. È tutto un commento pietoso e dispiaciuto della grande famiglia parrocchiale, dove tutti si conoscono e si sentono legati. Ciascuno ha una parola di compassione ed una preghiera di invocazione. Nessuno deve morire all'ospedale, ma vegliato dalla famiglia. Corre il detto:

 Quei ca moeur a l'uspedà

ghan perdunà metà i pecàa.

 

Il fare testamento ed il ricevere i sacramenti non costituisce grosso problema. Tutti da noi hanno profonda convinzione di fede. Si chiama sempre il sacerdote per l'Estrema Unzione.

Questa dimenticanza dei conforti religiosi sarebbe grave sulla coscienza dei famigliari:

 

 Testament e sacrament

fan menga muré la gent.

L'importante non è tanto il morire, quanto il morire in grazia di Dio. Appena uno ha dato l'ultimo respiro, attorniato da tutti i parenti, dato che non si deve mai lasciar morire alcuno da solo, ma tutta la famiglia deve essere presente a raccogliere le ultime raccomandazioni ritenute testamentarie, si spalancano le finestre della stanza, per concedere all'anima la possibilità di raggiungere il cielo. Si chiudono gli occhi e la bocca al defunto, si accende una candela, si spegne il fuoco di casa, si lava il cadavere e lo si veste con gli abiti migliori, magari quelli delle nozze conservati nei cassettoni dell'armadio.

Poi si chiudono le porte perchè non entri la civetta a cavar gli occhi al morto e si fanno suonare i botti del campanile in tre serie di rintocchi se si tratta di un uomo, in due serie se invece si stratta di una donna. Iniziano i turni di veglia alla salma, anche di notte, fintanto non sarà composta nella cassa con gli oggetti più cari al defunto. Si avvicendano parenti ed amici.

La biancheria appartenuta al morto sarà lavata, separatamente da tutta l'altra.

Il funerale non si fa di venerdì, per non attirare sulla casa altre disgrazie. Si dovranno iniziare suffragi per non venire sollecitati di notte dallo stesso defunto che, in apparizione di fantasma, "si fa sentire e vedere tirando i piedi" di coloro che, addormentati, sono dimentichi del loro trapassato. Si compone la salma con le mani intrecciate dalla corona del Rosario ed un Crocifisso che si stacca dalla parete della camera da letto. Lo stesso che si baciava ogni sera prima di addormentarsi.

Il giorno del funerale il morto è salutato dalla finestra e dalla porta di casa dai famigliari con pianti e lamentazioni straziantissime.

Tutta la popolazione del borgo è presente al funerale: il lutto è di tutta la comunità del borgo.

Ci sono diverse "classi" di funerali, secondo le possibilità economiche della famiglia, che ha sempre la preoccupazione di testimoniarsi in queste ricorrenze nella maniera più solenne. Si arriva addirittura a cinque classi, differenziate dal numero delle campane, delle candele attorno al "mortorio", dai sacerdoti presenti alla liturgia e dalle messe che si celebrano contemporaneamente agli altari laterali durante la messa in canto del prevosto, dal carro funebre tirato da uno o due o quatto o sei cavalli bardati da baldracche. Per i più poveri c'è il "funerale di carità" con un solo prete, un solo cavallo senza celebrazione della messa ma con la recita dell'assoluzione, al suono di una sola campana e con una cassa da morto neppure lucidata, ma di pioppo bianco offerta dall'amministrazione comunale. Corre il detto:

 Din don

la crus da lègn

al sacresta a pé biott

al cura da par nigott

Normalmente il funerale si fa con la maggior solennità possibile. Rimane l'unico e l'ultimo modo di testimoniare affetto e riconoscenza.

Quelli della Scuola (Confraternita SS. Sacramento) arrivano in divisa bianca e mantellina rossa, in lunga fila, portando la candela accesa. Il carro funebre coi cavalli impennacchiati, col cocchiere in palandrana e cilindro, solenne, con la frusta in mano. Qualche volta c'è anche la banda. La processione sfila recitando il rosario, mentre i sacerdoti cantano il Miserere scandito da lunghe pause di meditazione.

In Chiesa si canta lamentosamente, su di un gregoriano addomesticato dal popolo, "l'obito" con Io svolazzo da romanza delle lezioni, affidate alla voce più fonda. Il momento saliente della celebrazione è al "Libera", quando il sacerdote asperge la bara e l'avvolge in dense nubi di incenso, mentre tutto il popolo, a voce spiegata, dichiara la propria disponibilità al giudizio severo del Redentore e tutto il parentado è autorizzato a scoppiare in pianto, nella composizione della tragedia con l'accettazione della fatalità e della fede.

Terminata la cerimonia, il campanone accompagna il corteo al cimitero scandendo il passo ed il tempo, invitando alla terribile meditazione dei novissimi. Dalla Chiesa di S. Ambrogio risponde la campanella: "Ve ché.....Ve ché…..Ve ché…..", che è invito alla pace ed è anche sogghigno di vittoria della morte sulla vita.

Il corteo procede dietro la croce della Mariètt Cunfurnera che intona, con la Levati, il "De Profundis", solenne a due voci, dopo il salmo del sacerdote e le Ave Maria delle orfanelle delle Suore Francescane.

L'avvocato Pirotta, giunti al cimitero, prende la parola per illustrare, col "sunett" o "panegiric" la vita, le gesta e le virtù del defunto, mentre il popolo commenta:

 Quant nasan hin toeucc bei,

quant spusan hin toeucc sciur,

quant moeuran hin toeucc bonn.

 Altri pensano:

 Vanta al dé quant l'è sira

e l'omm quant l'è mort.

 Addirittura si arriva a dire con realismo nudo:

L'ha finì da ufend Diu.

 

Sulla tomba aperta, calata la bara a forza di braccia e di funi, con in mano il badile e nell'altra il cappello, il seppellitore ha una pausa. Diventa celebrante dell'ultima liturgia: è vestito in palandrana, bacia una manata di terra e la butta sulla cassa in segno di estremo saluto, seguito nel gesto dai famigliari e amici del defunto.

Poi recita l'ultimo Requiem e conclude: "Ave Maria, Pace, Amen".

Commenta il popolo di ritorno dal Cimitero:

 Ogni bűsa la voeur la sua scűsa.

Tutti hanno abbandonato il Cimitero; ma torneranno ogni domenica, alcuni verranno ogni giorno a portare un fiore e una lacrima. Non conoscono altro luogo ove trovare più sicure radici, più profondi ricordi, dove i nomi, i volti e le voci risvegliano gli echi più profondi della memoria e del sentimento.

 Atornu al mort

sa canta l'ufisi

Si intendono, oltre alle preghiere, anche tutti i commenti che in occasione della morte ciascuno ha diritto di fare sul defunto. E rimane la certezza della vita che continua nonostante la morte che miete. C'è il rincalzo delle generazioni nuove, c'è la vittoria della vita sul morire:

 Sa sa smorsa una candita

sa n'impisa un'oltra

 

CONDUGLIANS (Marisa)

 

Si fa visita alla salma di un defunto. Si prega, si soddisfa la curiosità, si fanno benevoli pietosi commenti.

Poi…..       la vita continua, chi è morto giace e chi rimane si dà pace!

 

 Al mort l'è là slungàa, 'l fa propi no impresion in cà di so parent cumència la funsion.

"Madona che pecàa!       al fava bel vide!!"

Intanta quei da cà sa vansa da tasè.

"L'è da vera cera!" gh'an menga toeucc i tort

I genti ca van in vesita in cà dal poar mort.

E dopu van avanti e disan soeu i virtoeu,

anca se da vif al fava un poo al da poeu.

Chi coeunta una busìa per fàa piesè ai parent

che pur aduluràa paran pussé cuntent.

E al de dal füneral, inveci dal rusarii

van al cimiterii, ma parlan di so afari!

   

Da “I Quaderni del Portavoce” Come si Viveva – la storia autentica dei nostri nonni di Carlo Valli

Il cimitero di Cassano d'Adda - foto di R. Siesa